La disciplina del fallimento, come ribadito più volte nel corso degli ultimi anni, è applicabile anche ad una Fondazione laddove questa eserciti attività commerciale.
Tuttavia, anche se nella generalità dei casi l’esercizio di un’attività commerciale implica il fatto che l’imprenditore intenda trarne un profitto, ciò non toglie che un’attività commerciale si possa esercitare anche per finalità non lucrative.
Si pensi, da un lato, alle società cooperative, che operano allo scopo di ripartire tra i soci l’utilità prodotta dalla loro attività economica sottoforma di vantaggi maggiori rispetto a quelli che potrebbero trovare sul mercato, quali ad esempio: uno stipendio più alto nelle coop di lavoro, una abitazione a minor prezzo nelle coop di abitazione, una spesa a costo inferiore nelle coop di consumo e cosi via.
D’altro lato, si consideri l’attività economica svolta da quegli enti pubblici o privati che non operino con scopo lucrativo, ma funzionino con l’obiettivo del pareggio di bilancio o secondo i criteri del reinvestimento degli eventuali avanzi netti di gestione.
Associazioni e fondazioni rientrano, per l’appunto, in quest’ultimo ambito: di solito, sono enti che non svolgono alcuna attività economica e che pertanto non si pongono il tema degli utili da ripartire. Tuttavia non è escluso che gli stessi possano svolgere un’attività economica, organizzata in modo tale da finanziare i costi coi propri ricavi, oltre che con eventuali contributi a fondo perduto.
In questi casi se in esito allo svolgimento di questa attività risulti un margine positivo tra ricavi e costi, il carattere non profit di questi enti che gli utili non vengano distribuiti, ma reimpiegati nel rafforzamento del patrimonio dell’ente e nel supporto finanziario del suo funzionamento.
Ci si trova davanti, quindi, a vere e proprie imprese, identiche a quelle esercitate a scopo lucrativo; con la differenza che, nel caso dell’ente non profit, l’utile resta nell’impresa, differentemente dall’impresa esercitata for profit nella quale l’utile è attribuito al soggetto imprenditore o ripartito tra i soci. Di conseguenza, se l’attività d’impresa dell’ente no profit rende insolvente l’impresa, allora anche per l’ente non lucrativo si apre lo scenario del fallimento. Identicamente a quanto accade per l’imprenditore commerciale.
Marzo 2016