Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha più volte contestato agli imprenditori la c.d. “condotta antieconomica”. Infatti, secondo l’orientamento prevalente al verificarsi di tale fattispecie l’Ufficio accertatore può desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché siano gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, invertendo l’onere della prova a carico del contribuente (vedi nota interna Agenzia delle Entrate n.55440 del 2008).
Pertanto, in sede di contestazione se il contribuente non dovesse riuscire a giustificare la propria condotta, si vedrà riprendere a tassazione il componente negativo di reddito dedotto ovvero, il componente positivo di reddito non dichiarato, non essendo sufficiente dimostrare, esclusivamente, la regolarità della tenuta della documentazione cartacea.
Tuttavia, proprio la recente sentenza della Corte di Cassazione n.21869 del 28.10.2016, ha ribadito un principio cardine in materia di contestazione per condotta antieconomica – …“alla condotta antieconomica serve l’appoggio di indizi gravi, precisi e concordanti che dimostrino l’inattendibilità della condotta del contribuente”.
In particolare, nella controversia posta all’attenzione dei giudici di legittimità, quest’ultimi hanno respinto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate a seguito di una richiesta di rimborso di un credito Iva, proposta dal curatore del fallimento di una S.r.l., nel quale l’Agenzia delle Entrate aveva chiesto l’esibizione di una serie di documenti contabili, tra i quali il dettaglio delle rimanenze delle materie prime e delle merci, lamentando la genericità delle informazioni fornite dal curatore medesimo, il quale aveva fornito solo il valore iniziale e finale del magazzino. I giudici d’appello,intervenendo sul caso, hanno aggiunto che – “le rimanenze iniziali e finali, così come risultano dal bilancio di esercizio acquisito agli atti, rappresentano un dato certo, atteso che le prime nell’anno 2001 hanno partecipato alla determinazione dei ricavi di esercizio, mentre le seconde hanno partecipato alla determinazione dei ricavi nell’anno 2002 e conseguentemente dei costi nell’anno 2003” – dimostrando di non dubitare della veridicità dei dati sia pure genericamente indicati dal curatore, escludendo che tale genericità possa sostenere l’accertamento svolto dall’Agenzia.
Da quanto detto, quindi, si può affermare che a parere dei giudici di legittimità, le contestazioni riguardanti l’antieconomicità del comportamento dell’imprenditore richiedono che l’Amministrazione Finanziaria debba dimostrare l’inattendibilità della condotta da parte del soggetto accertato.
Gennaio 2017