Con la sentenza del 9.12.2015 n. 24823, la Cassazione a Sezioni Unite si esprime definitivamente sul contraddittorio preventivo, gelando tutte le attese.
In particolare nelle 46 pagine di sentenza gli Ermellini spiegano le ragioni della decisione sulla base della quale hanno concluso che il contraddittorio endoprocedimentale non rappresenti sempre e comunque un obbligo a carico dell’Amministrazione Finanziaria.
La premessa (e anche la conclusione) è che nel nostro ordinamento tributario non esiste un principio generale che prevede l’obbligatorietà per l’Amministrazione di attivare il contraddittorio prima dell’emissione di un atto impositivo, salvo ovviamente i casi in cui la norma lo disponga testualmente.
I giudici di legittimità, con la sentenza in oggetto, hanno preferito una soluzione a doppio binario, distinguendo tra tributi “armonizzati” e “non armonizzati”. Il diritto dell’Unione Europea, infatti, considera l’obbligo di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale come un principio immanente all’ordinamento stesso e che trova fondamento nell’art. 41 della Carta di Nizza, facendo salva soltanto la fase delle indagini.
In buona sostanza, il contraddittorio deve essere attivato solo prima dell’emissione dell’atto, essendo l’Amministrazione Finanziaria libera di procedere alla raccolta di informazioni senza informare il contribuente o conoscere il suo punto di vista.
Diversamente, nell’ordinamento nazionale non esiste un principio generalizzato che prevede la formazione del contraddittorio prima che il contribuente sia destinatario di un provvedimento fiscale lesivo dei propri diritti ed interessi.
Il principio affermato dalla Cassazione si può quindi sintetizzare come segue: in tema di tributi non armonizzati, l’obbligo per l’Amministrazione di attivare il contraddittorio preventivo, pena l’invalidità dell’atto, sussiste solo nelle ipotesi in cui detto obbligo risulti da precisa disposizione di legge; per i tributi armonizzati, invece, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale comporta in ogni caso l’invalidità dell’atto, purché il contribuente provi in giudizio le concrete ragioni che avrebbe potuto far valere nel caso in cui tale contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato.